Ogni tanto mi capita di spiegare che, per quello che vedo, la capacità di esprimersi per iscritto delle persone negli ultimi anni è migliorata tantissimo (soprattutto considerando che si partiva da un livello patetico), mentre è in caduta libera la qualità della scrittura professionale. Lo so, sembra una boutade: la pochezza media delle conversazioni che leggiamo online è evidente, è alla portata di tutti. Quello che non è alla portata di tutti invece è l’analisi della scrittura professionale, soprattutto quando la professione è quella del comunicatore.
Nel tritacarne della qualità dovuto all’abbassamento dei budget pubblicitari e di comunicazione la figura più sacrificata infatti è proprio quella dedicata a trasformare i contenuti da esprimere in messaggi testuali, il copywriter.
Non solo: molto spesso in azienda e in agenzia si è sostituito il digital planner o lo strategist al direttore creativo, saltando di fatto un passaggio fondamentale e cioè la trasformazione del briefing in un concept o, come sempre più spesso mi trovo a fare, in una storia di cui il destinario voglia essere protagonista. Sempre più spesso le campagne che ci arrivano sono pure e semplici pubblicazioni del briefing; come sa chi mi segue questa è una mia piccola ossessione, ma sono convinta che questo sia il motivo dietro tutti gli errori e orrori di comunicazione che vediamo. È una situazione in divenire, perché come scrivevo qualche mese fa le competenze del comunicatore (digitale e non) sono tornate a dominare rispetto alle competenze tecniche di uso dei mezzi, ma in attesa di scollinare stiamo raggiungendo vette di incompetenza mai sfiorate prima. La campagna di comunicazione del #fertilityday è probabilmente il punto più basso (o più alto) della tendenza (o tentazione) di pubblicare il briefing pensando che essere diretti sia il modo migliore di far arrivare un messaggio. Da qui in poi si può solo migliorare.
Semplificando molto e facendo finta che ci siano solo due interlocutori una campagna pubblicitaria, minima o enorme, si fa così: A vuole far succedere una cosa e B deve trovare il modo migliore per farlo senza dirlo esplicitamente (a meno che tu non abbia inventato, che ne so, il Viagra o la macchina del tempo). A si deve occupare della cosa da far succedere (progettarla, produrla, distribuirla, darle il prezzo giusto), B si deve occupare del modo migliore per far sapere ai possibili clienti che quella cosa li renderà felici (anche solo per un istante). Quasi sempre per A il modo migliore è dire “compra compra compra” e il lavoro di B è quello di aiutarlo a capire che quello lo dicono tutti di qualunque cosa e che serve un messaggio un po’ più sofisticato (ma non troppo, per carità). Quello che è successo negli ultimi anni è che B, per mille motivi, non è più stato in grado di aiutare i clienti a evitare l’errore più grande: la pubblicazione del briefing e cioè centinaia di messaggi che dicono “compra compra compra” oppure “Datti una mossa! La cicogna non aspetta”. In questo declino ha giocato molto, oltre alla crisi (con paura di perdere il cliente) una certa retorica della spontaneità, per cui è meglio le cose dirle belle chiare, senza giri di parole. “La bellezza non ha età. La fertilità sì”. Chiaro, no?
La campagna per il #fertilityday parte male fin dal nome, con questa patetica ansia di cosmopolitismo che fa subito provincia; non amo fare le pulci al lavoro degli altri, ma a volte tocca sporcarsi le mani perché chi comunica non decide quasi nulla, ma ha una parte di responsabilità sociale (è uno dei motivi per cui amo questo lavoro e amo poter dire di no quando serve). Restando nel seminato (ops) di questo post questa campagna è un esempio straordinario di briefing pubblicato a cui è mancata completamente non solo la parte creativa/esecutiva (i visual, il copy, l’uso dei mezzi) ma soprattutto la parte strategica. Il “compra compra compra” del ministero della Salute ha delle solide motivazioni (anche se mescolate a un’idea retrograda di famiglia): non solo il calo della natalità, ma anche la necessità di informare prima che sia troppo tardi sul rischio di compromettere la propria fertilità con comportamenti a rischio ma non immediatamente collegabili alla procreazione, soprattutto in età in cui cerchi disperatamente di evitarla. In questo caso la cosa che A vuole far succedere non è “fai più figli che puoi” ma “prenditi cura della possibilità di fare figli prima che sia troppo tardi”. Come B sia arrivato a tradurlo in “Datti una mossa” è meno rilevante del tema che mi sta a cuore, valido per mille altre campagne: comunicare è un lavoro difficile, da maneggiare con cura. È verissimo che un messaggio deve arrivare bello chiaro, senza fuffa intorno, ma è arrivato il momento di riscoprire che per produrre quel messaggio servono dei professionisti preparati, ben pagati e da ascoltare attentamente proprio perchè *cari*.
Update: qui il testo del capitolato di gara con gli obiettivi di comunicazione, ancora peggio di quanto pensassi. Il passaggio logico dagli obiettivi ai contenuti (chiamati già “messaggi”) è abbastanza eloquente.
[…] Dal sito di Mafe De Baggis uno spunto interessante sulla comunicazione, a partire dalla campagna sul… […]