Ipotesi. Pancia. Dati. Nessun intruso.

Ipotesi basate sulle informazioni che abbiamo sui destinatari, ma anche sulle intuizioni sviluppate da chi lavora alle campagne. Informazioni e intuizioni. Numeri e pensieri. Dati e immagini. Insieme.

Come molte persone a disagio con il mondo dei numeri sono attratta e affascinata dalla loro promessa di ordine e precisione. Più studio, però, più scopro che questa promessa non sempre può essere mantenuta, non perché i numeri non siano precisi, ma perché per poterli usare per prendere decisioni o, come nel mio caso, stimolare e supportare la creatività, devi accettare di poterli solo interpretare.

Anche per questo ho fatto un balletto di gioia leggendo il paper di Facebook intitolato “Using data to inspire creative briefs“: già il sottotitolo mi ha fatto fare un trenino da sola, perché recita “Hypothesis-driven insights”.
Idee e spunti guidati da ipotesi. Che bellissime parole. Che meravigliose parole. Non inventati, non campati in aria, ma neanche certi, solidi, sicuri. Un mondo di possibilità ben sintetizzato da questo passaggio, che risponde anche alla domanda che mi viene fatta più spesso da studenti e clienti. Come fai a sapere che le tue intuizioni sono giuste? In particolare, come fai a fidarti delle personas che crei e su cui basi tutta la tua strategia di comunicazione? Facebook IQ ci dice:

Since we are dealing with large datasets, hypotheses are important guiding mechanisms to keep us focused on the questions we’re answering. After we have aligned on the problem and people in Step 1, practitioners should develop hypotheses based on existing information that is known about these people  but also the intuitions built within their own teams.

Ipotesi basate sulle informazioni che abbiamo sui destinatari, ma anche sulle intuizioni sviluppate da chi lavora alle campagne. Informazioni e intuizioni. Numeri e pensieri. Dati e immagini. Insieme.

Often a hypothesis can start from a gut” feeling a data practitioner and their team might have.

Ah, quelle belle sane rotonde sensazioni di pancia. Istinti. Quelli che molti pensano sostituibili da automatismi, finché il Re degli Algoritmi, Mr Facebook, li ritira fuori.Ipotesi. Pancia. Dati. Un circolo virtuoso, se le ipotesi sono vissute come tali e la pancia è di persone capaci di empatia e attenzione. E, come mi fa notare Elena Crotti: “Aggiungiamo al magico trio anche la parolina “esperienza” o se preferisci “esercizio”. A me ha salvato le gentil terga un mucchio di volte specie di fronte a dataset cicciosi”.

I passaggi successivi descritti nel paper di FB sono quelli cruciali, quelli che ci dimostrano che no, non stiamo spendendo i soldi dei nostri clienti *solo* sulla base di un istinto.

Now that we have a succinct set of hypotheses, we can start preparing a research plan to pull data to prove or disprove our hypotheses.

Data practitioners are looking for meaningful patterns that prove or disprove their hypotheses.

Prove or disprove. Confermare o negare. A guess, not a plan, dice Jason Fried. Stephen King lo chiama “vedere la riga gialla”. Fare comunicazione usando i dati vuol dire questa roba qui: fare ipotesi, verificarle, rifarle e farne di nuove, imparare, crescere. Vendere. Vendere alle persone giuste, avere clienti felici. 

Pattern significativi. Quelli che ci aiutano a trasformare i dati in informazioni e le informazioni in creatività, in contenuti migliori, in metafore. Solo così possiamo essere rilevanti per le persone che ci interessa raggiungere, coinvolgere e conquistare.

 

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