In questi giorni, come credo molti adulti, sto rivedendo tutta la saga di Guerre Stellari con un bambino: il mio ha otto anni, non è mio figlio, ma da quando era piccolo passa con me molto tempo e gran parte di questo tempo insieme lo passiamo guardando film. Il primo film vero che gli ho fatto vedere è stato ET e quando la mattina dopo si è svegliato chiedendo “ancora bambini in bicicletta” ho capito che, ancora una volta, il cinema è un rilevatore di affinità molto più potente dell’età (aveva tre anni). Un po’ di tempo dopo abbiamo visto insieme Guerre Stellari, quello vero, cioè il primo, cioè il quarto. Il padre e la sorella se lo sono dormito tutto, io mi sono emozionata come al solito, a lui è piaciuto, ma molto meno di altri film. Un po’ ne soffrii, ma poco.
Quest’estate torno alla carica: in vista dell’uscita di Episode VII a dicembre, gli dico, dobbiamo allenarci e arrivare preparati. Li rivediamo tutti insieme, ti va? Gli va. La sorpresa, però, è che complice il marketing ma soprattutto il transmedia editoriale – videogiochi! fumetti! parodie! – l’eccitazione sale, sale, sale e diventa, esattamente come quando avevo otto anni io, magia pura.
Anche per questo ho ceduto su due fronti: niente Machete Order, ma ordine degli Episodi (utile per capire se la trilogia “vera” perdeva forza) e ne abbiamo visti in inglese solo due (Episode I, per troppa bruttezza e Episode V, per troppa bellezza).
È stato un regalo, un regalo vero. La sua eccitazione e la sua agitazione mi hanno riconciliato anche con la trilogia tarocca, ed è tutto dire. Ma rivedere film così vecchi con un bambino così cinefilo mi ha fatto un regalo professionale non da poco, e cioè mi ha dimostrato ancora una volta il potere della riconoscibilità visiva, anzi, sensoriale. Nei primi venti minuti di Star Wars (1977) infatti ci sono e lui li ha riconosciuti al volo: i Minions, Wall-e e la fascinazione per le gif animate. Ecco le prove.