L’altro giorno ero in un albergo, in una di quelle classiche sale riunioni senza luce naturale e con le caramelle tonde colorate. Aspettavo di parlare e di raccontare a un gruppo di persone come “leggere” le storie dei viaggiatori, nel senso proprio di da che verso prenderle, come capirle senza sottovalutarle o sopravvalutarle, che spesso si oscilla tra il considerare chi racconta la propria vita online ora un mentecatto ora un oracolo.
Testo e sottotesto, messaggi pubblici scritti in linguaggi privati, l’ironia presa alla lettera, questo mi ripetevo rigirandomi tra le mani un foglio di carta intestata.
Lo giravo e lo rigiravo, con la sua bella intestazione in alto a destra, e rieccomi ventenne ad arrotondare facendo la segretaria che impazzivo per capire da che parte infilare il foglio nella macchina da scrivere e come impostare i margini e quanti fogli buttati che poi erano costosi e li andavo a buttare in strada, mai nel cestino, per non essere rimproverata.
Giravo e rigiravo quel foglio e pensavo al mio primo lavoro in agenzia di pubblicità, in tre e un computer solo in bianco e nero a cui io non avevo accesso quasi mai “tanto devi solo scrivere” e le ore a stampare la tesi con uno dei primi word processor con la testina a margherita e – incredibile – ho anche dovuto usare un Telex un paio di volte, che quando facevo la segretaria c’era la Guerra del Golfo e con certi paesi si comunicava solo così.
Giravo e rigiravo il foglio che poi ovviamente mi sono tagliata e quanto bruciano i tagli della carta, vero? E le ore passate a guardare le cianografiche e a correggere gli inevitabili refusi e poi ancora ore con la lametta sulle pellicole, che i PDF, negli anni ’80, non esistevano.
Quando poi è arrivato il mio turno e raccontando i social media dicevo che già le cartoline erano “social media”, ma ve le ricordate le cartoline, che le dovevi spedire a uno che ti piaceva e avevi il batticuore e sapevi che quello che scrivevi l’avrebbe letto il postino, il portiere, la mamma etc?
Ero così infuriata con tutta la fatica fatta a gestire tutta quella carta e ho capito una cosa, che chi come me con la carta ci ha dovuto lavorare, che «tagliare un pezzo» significava lavorare di forbici e colla, non copia e incolla, che forse quelli come me potranno sì avere qualche momento madeleine, ma che bello il digitale e soprattutto quanto del lavoro di produzione della cultura è già in digitale da anni e continuiamo a pensare che siano due mondi paralleli.
[…] dopo poche righe si stanca, la grafia è sempre più brutta, più incerta, più incomprensibile. Lo ricorda anche Mafe qui: scrivere, tagliare, battere a macchina, incollare; operazioni faticose che stiamo dimenticando, non […]