Come in we are open

C’è un mondo che chiude e un mondo che apre, in mezzo camminiamo e lavoriamo noi, incerti se insistere per farci ascoltare da chi urla con le orecchie tappate o se serrare le fila e andare avanti compatti con chi sta già facendo invece di parlare.

C’è un mondo che chiude e un mondo che apre, in mezzo camminiamo e lavoriamo noi, incerti se insistere per farci ascoltare da chi urla con le orecchie tappate o se serrare le fila e andare avanti compatti con chi sta già facendo invece di parlare. #Luminol è uscito un mese fa e per me è contemporaneamente un grande successo e un grande fallimento: viene apprezzato e capito da chi «ha capito già» e sostanzialmente ignorato dai suoi veri destinatari, quelli che si fermano a guardare il bit scuotendo la testa e ignorano la luna paralizzando un paese. Non è una sorpresa, anche solo per la forma, ma è comunque un’informazione. Un dato. Una traccia.

Non sempre è quel che sembra
Non sempre è quel che sembra

Lunedì lo presento da Open Milano (il mondo che apre, il mondo delle librerie che aprono e si aprono) con tre donne #bastalagne (ma non per questo meno incazzate di me): Daniela Farnese, Marina Petrillo e Barbara Sgarzi. Come le altre due presentazioni fatte (tutte e due da Open) mentre scrivevo vorrei che fosse aperta a tutti, ma non in teoria, per davvero.

Giovedì vado a New York per Pleens e comincio a tradurlo (a ripensarlo) in inglese, sperando che su altri fronti ci sia un po’ di tregua e di poter cominciare il vero lavoro del #Luminol, il setaccio dei fatti (e dei racconti) quotidiani. A 45 anni non posso permettermi di pensare al mondo che chiude, agli zombie che pontificano, ai dittatori delle emozioni altrui: c’è un mondo che apre e se viene brutto come il precedente non possiamo più dire «è colpa loro».

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