Ho letto, alternandoli, due libri apparentemente lontanissimi: Una ragazza riservata, la storia di una spia inglese durante la seconda guerra mondiale, e Brigate russe, un saggio sulla guerra ibrida in corso da anni, in particolare contro i servizi digitalizzati (banche, ospedali, governi) e contro i fatti. Nel primo una giovanissima orfana trascrive le conversazioni di insospettabili signore inglesi filonaziste, conversazioni profondamente antisemite e violente nella loro quotidianità, tra tè, biscotti, speranze di essere invasi da Hitler e morti da nascondere nella carbonaia. Conversazioni che oggi, con le debite proporzioni, leggendole sui social media, consideriamo frutto di una società andata a male, di un malessere profondo e tutto nuovo.
Il bello è che, leggendo l’altro libro, scopriamo che molte di queste conversazioni, esattamente come quelle inglesi, sono state accuratamente progettate e seminate per attecchire, avvelenare, disinformare e dividere. La propaganda, ieri come oggi, serve proprio a questo: a convincere tua zia che il suo negozio di parrucchiere stenta a partire per colpa dei giudei, a farti sospettare di quello che potrebbe salvarti la vita, a dividere, dividere, dividere una società che lasciata a un confronto non inquinato rimarrebbe multiforme – e meno male – ma solida sulle sue basi.
Le brigate russe sono, come chiaro fin dal titolo, russe. Non sono più (solo) spie e soldati, ma sono comunque armate: eserciti di troll, che alternano finte foto di vacanze e compleanni a fintissime verità su vaccini, invasioni e scandali. E non sono sui social media, perché sono fabbriche di ricerche, report, articoli di giornale, studi e approfondimenti pensati per attrarre e convincere professionisti: giornalisti, ricercatori, insegnanti, comunicatori, politici. La rete offre una casa facile a tutto questo, che vive anche in convegni, in studi, in università: una casa e milioni di strade, strade però aperte solo da chi abbocca e passa il verme. Strade che potremmo anche rendere impraticabili, facendo un’operazione molto semplice: prendendoci un attimo di tempo prima di azzannare. Facciamo due attimi, dai, che dall’altro capo del filo ci sono dei professionisti, e molto bravi. E partiamo da qualcosa che cerco di raccontare da anni: queste dinamiche hanno molto poco a che fare con i social media e moltissimo con la propaganda. Poco a che fare con la società e moltissimo con il potere. Poco a che fare con l’umanità e moltissimo con la guerra.
Call it by its name: propaganda
La propaganda, ieri come oggi, serve proprio a questo: a convincere tua zia che il suo negozio di parrucchiere stenta a partire per colpa dei giudei, a farti sospettare di quello che potrebbe salvarti la vita, a dividere, dividere, dividere una società che lasciata a un confronto non inquinato rimarrebbe multiforme - e meno male - ma solida sulle sue basi.
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