Ammettiamolo: quando hai un problema di salute, grave o meno grave, è praticamente impossibile non cercare informazioni su Google. Io l’ho sempre fatto e, negli ultimi mesi, l’ho fatto intensamente, sperimentando sulla mia pelle i lati positivi e quelli negativi.
Ci tenevo però a raccontare due cose che mi hanno molto sorpreso, anzi, tre:
- la mia conoscenza del cancro era a dir poco imprecisa. Da tutti i punti di vista: che cos’è, i numeri, le terapie, le percentuali di sopravvivenza. Ho imparato molte cose e le ho imparate anche online.
- pur essendomi sbizzarrita in lungo e in largo con chiavi di ricerca sempre più spinte le SERP di Google mi hanno restituito solo e soltanto pagine e siti di medici, ospedali, testate specializzate e tutto sempre e solo in linea con la medicina tradizionale.
- oltre a essermi scatenata nel fare ricerche su Google per giorni ho ossessivamente compulsato siti, pagine e persone (e libri) non ho mai visto neanche una pubblicità lontanamente collegata alle mie ricerche e alle mie visite. Non parlo, ovviamente, di ospedali o terapie (che non possono fare pubblicità), ma di cure alternative, bicarbonato, santoni, Lourdes, acqua e limone. Niente di niente di niente.
Se c’è una rete di protezione che filtra e scarta i contenuti che potrebbero mettere a rischio la nostra salute, beh, sta funzionando: mi aspettavo di trovare molta robaccia e molti più contenuti artigianali/personali, che invece sono giustamente fuori dalla prima pagina dei risultati di Google (e anche dalla seconda).
In questo mio corso accelerato di “cosa vuol dire valutare di poter avere una malattia grave” ho capito che i motivi per non esagerare con Google molto diversi da quelli di cui si parla di solito e cioè il nutrire l’ipocondria e il rischiare di trovare informazioni pericolose.
Il rischio principale me l’ha spiegato un bravo cardiologo: online trovi informazioni basate sui grandi numeri, su statistiche, ma le malattie sono personali, ognuna diversa dall’altra, così come ogni organismo è diverso dall’altro. È una vita, infatti, che cerco nei medici la capacità di curarmi come persona e non come media statistica, motivo per cui quando mesi ho avuto la possibilità, grazie all’AIRC, di intervistare la ricercatrice Tiziana Lischetti, le ho chiesto esattamente questo:
Dal lato del paziente – mio – c’è un certo timore che le ricerche basate su modelli possano non cogliere le sfumature delle reazioni personali; con la potenza di calcolo che abbiamo e la possibilità di fare esperimenti più raffinati possiamo riuscire a prevedere le eccezionalità e i casi particolari?
Tiziana Lischetti: “Diciamo che questo è l’obiettivo per cui lavoriamo adesso. È una tendenza al trattamento personalizzato, il più perfetto possibile per una data persona, perché in questo momento è imprevedibile sapere se un trattamento potrà funzionare su un dato paziente oppure no. Noi studiamo i marcatori e meglio li conosciamo meglio capiremo e potremo prevedere la risposta, che però è sempre soggettivo. Anche io, pur non occupandomi direttamente di questo, vado a cercare dei fattori di variabilità per definire le varie possibili risposte, non una risposta media”
Lo spiega bene anche questo video AIRC che racconta la sperimentazione in corso con il metodo CAR-T, una delle più grandi speranze per il futuro.
https://www.facebook.com/AIRC.it/videos/298216924148754/
Pare quindi che il mondo, almeno in questo, stia andando nella direzione giusta: la direzione della medicina di precisione, per quanto riguarda cure e terapie, e la direzione del riempire la rete di informazioni corrette, come mi auguravo solo tre anni fa in un mio intervento da Sanofi, Conversazioni che alleviano.
In particolare mi auguravo che la medicina ufficiale aumentasse la sua presenza in rete e che i medici migliorassero la loro capacità di risposta ai pazienti, perché sono sempre stata convinta che una persona cerca risposte quando non ne ha, o non ne ha abbastanza, e la qualità di quello che trova è una responsabilità di tutti, non solo del malato.
Negli ultimi anni mi è capitato abbastanza spesso, lavorando con case farmaceutiche o su temi legati alla salute, di scontrarmi con l’insofferenza verso chi, invece di chiedere al proprio medico, cerca informazioni su malattie e cure su Google o scambiandosi consigli e terapie con altri pazienti.
Questo dare addosso al malato, se devo dire la verità, mi ha fatto saltare i nervi più di una volta. L’estate scorsa, per esempio, ho quasi litigato con uno specialista innervosito dall’aumento di persone sane che si rivolgevano a lui (pagando) pur non avendo una data malattia, aumento che nasceva da una campagna di sensibilizzazione nei confronti di quella malattia, sensibilizzazione che stava funzionando, ma non nella direzione desiderata dallo specialista, evidentemente convinto che una diagnosi negativa fosse colpa del paziente che non era riuscito a tranquillizzarsi da solo e aveva chiesto aiuto a uno specialista.
In questo anno di esami, diagnosi, interventi e terapie, in attesa della TAC di controllo, ho visto quanti passi avanti sono stati fatti sia per mettere a disposizione informazioni e approfondimenti seri online, sia nella relazione medico/paziente. Sono quasi sempre stata trattata come un essere umano completo e quasi mai come un “polmone”, ma temo che questo sia più merito di singoli centri di eccellenza e di singoli medici che una prassi consolidata. Penso a quello che è capitato a Francesca Barbieri, per esempio: se non avesse insistito lei per togliersi quella “cisti benigna” forse oggi racconterebbe una storia diversa. Penso a quante volte i medici liquidano le nostre paure come ansia e ipocondria, come se non fossimo noi a conoscere i nostri corpi meglio di loro. Ripenso a certe richieste ai siti con “il medico risponde” e mi si stringe il cuore. Il chirurgo che mi ha operato mi ha telefonato mezz’ora dopo la PET, su questi siti c’è gente che chiede a un medico sconosciuto di leggerla per loro. Provate a cercare “esame istologico” e guardate i risultati, guardate le domande nei forum e poi provate a prendervela con loro se chiedono aiuto in rete. C’è ancora tanto da fare, ma che bello poter anche raccontare quanto è già stato fatto.
Grazie di aver menzionato il mio caso. Ci ho riflettuto ed è vero, non ho trovato neanche io, cercando su Google, pagine di santoni o beveroni miracolosi (ne ho sentite tante, a voce, da interlocutori incontrati in questi mesi). In effetti, in questo senso, poteva andarci peggio! Molto interessante davvero.
Un abbraccio