Sono le 15:43 del 23 gennaio 2019. È dalle 12 del 21 dicembre 2018, da quando un gentilissimo radiologo è uscito dopo la Tac per dirmi signora crescita nodulo alone forse infiammazione ma forse meglio Pet-chirurgo toracico, che aspetto di sapere se ho un tumore al polmone o no.
Quel che è certo: è un piccolo nodulo (8 millimetri), non dà segni di sé in giro e la biopsia estemporanea, quella in sala operatoria, ha detto che non è cancro.
Quel che è certo: un’anestesia totale, una ferita chirurgica di 4 centimetri sotto il seno, i punti del drenaggio ancora da togliere, duecento gocce di EN, cinque giorni di ricovero, un mese di lavoro perso e una bella giostra di antidolorifici oppiacei.
Il referto istologico definitivo doveva essere pronto giovedì, lunedì, ieri, oggi. Accertamenti richiesti. Accertamenti in corso. E io sto un po’ sana – come mi sento – un po’ malata di tumore, a seconda del giro emotivo dei miei ormoni. Un po’ molto sana: ero, sono in gran forma e nei giorni prima dell’intervento mi sono allenata, mezz’ora di corsa, un’ora di cammino veloce, un’ora di yoga. Se l’esame istologico estemporaneo avesse detto: tumore mi avrebbero tolto mezzo polmone sinistro, valeva la pena di aumentare la capacità respiratoria, il più possibile.
Sto bene, benissimo. Mangio, digerisco, dormo male ma solo per la ferita, cammino (mezz’ora al giorno, ha detto il fisioterapista, ma io camminerei sette mezz’ore).
Per niente malata, paura a parte. La paura è quella cosa per cui scopri che “mi si ghiacciò il sangue nelle vene” non è un modo di dire da romanzo gotico. È quella cosa per cui non solo passa tutto in secondo piano, ma diventa tutto molto più interessante, perché quella roba lì di vedersi passare tutta la vita davanti agli occhi non è degli ultimi istanti, ma di quando prendi atto che sei mortale, anche tu, per davvero. E come la giudichi, con quale ferocia, quella vita che ti passa davanti. Tutti quei minuti persi a cazzo a restarci male.
Sono le 10:25 del 24 gennaio e sono ancora nel limbo e comincio a capire che, se è vero che una malattia serve anche a farti capire delle cose, questa è la cosa da capire. Che ho passato buona parte della mia vita ad aspettare una conferma, un lavoro, una risposta, un risultato, una funzionalità, una persona, un sorriso, delle scuse, un riconoscimento, un grazie. Che sono sempre stata abbastanza brava a godermi il presente, perché è la seconda volta che vengo concretamente messa di fronte alla mia mortalità (la prima avevo 19 anni), ma il mio presente è sempre condizionato. Da quanto peso, dal meteo, dagli umori altrui, da una mia personale bilancia sbilenca. Il mio equilibrio dipende da quello che altri mettono sul piatto, referto istologico compreso. Sono le 10:30, del referto ancora nessuna notizia e io sono stufa: ricomincio a vivere lo stesso.
Sono le 17:00 del 24 gennaio, sono sulla Strada Regia tra Lezzeno e Bellagio, sul lago di Como. In questa stagione il lago è rosa e azzurro polvere e non c’è quasi nessuno, solo noi, cani, gatti e alberi di falso pepe. Squilla il telefono: è il chirurgo che mi ha operato e che finalmente può confermarmi l’esame istologico intraoperatorio. Non ho un tumore, ho un’infiammazione da verificare nel tempo (update quasi un anno dopo: esame istologico riaperto con nuova tecnica, era tubercolosi latente, cioè, per fortuna, non contagiosa), ma a questo sono abituata (ho un corpo che funziona in modo strano).
In questo mese non mi sono mai sentita malata, piuttosto salvata. Salvata anche da me stessa, perché un mese così ti fa rimettere in discussione tutto. Ho delle cose importanti da dirvi, sulla prevenzione, sulle diagnosi precoci, sulla ricerca, sulla capacità di autoguarigione che ho imparato a evocare, invitata dai medici. Per ora mi fermo a guardare il lago, per ora dico solo: grazie Dottor Gasparri, grazie IEO. Il futuro della medicina è anche nella vostra gentilezza.
[…] Alle due dell’1/1/2018 sono scivolata e mi sono sbucciata ginocchio, collo del piede e palmo della mano. Ho continuato a scivolare e cadere per tutto l’anno, un anno dispettosissimo, fastidiosissimo, pesantissimo. Un anno che si chiude con una TAC incerta e con l’inizio di un incubo. […]