Tecniche di resistenza dispettose
Una delle critiche più odiose ricevute in questi mesi è stata che le donne vittime di abusi si presentano come vittime della situazione. Come deboli, fragili, bisognose di aiuto. È esattamente il contrario: abbiamo iniziato a parlare perché siamo forti, per una volta in condizione di fregarcene se disturbiamo, interrompiamo, infastidiamo. Siamo come la sabbia, ci infiliamo dappertutto e te la ritrovi nei posti più inattesi.
Temo non capiti solo a me: i peggiori commenti sulla società in cui viviamo, quelli che ti fanno venire voglia di partire per il Distretto 13, sono fuoco amico. Tua mamma, il tuo migliore amico, tua sorella o – il peggio del peggio – il tuo compagno (in quest’ultimo caso, pensaci bene).
Io ho imparato a gestire la rabbia, il fastidio e – soprattutto – l’impulso di rispondere sempre e comunque. In particolare di persona, dove è davvero molto difficile restare amichevoli. Ma anche sui social media, dove, nella maggior parte dei casi, l’unica risposta possibile sarebbe urlare “ESCI DA QUESTO CORPO DEMONE ORRENDO”. Che siano amici o no, come ben diceva Hannah Arendt, tacere è diventare complici, quindi il semplice far finta di niente non è un’opzione.
E però. Non so tu, ma io sono arrivata all’estate sfinita. Non sono pronta alla guerra civile sopra i 30 gradi. Avrei voluto matare pesciolini a colpi di pareo. Spaventare benpensanti urlando dietro la maschera da sub. Andare al largo e non riuscire a tornare indietro ma solo per vedere i muscoli del bagnino afferrarmi e senza pensare ai morti in mare.
Sono stata zitta, ma invece di parlare ho agito. Ho scotolato l’asciugamano sopravvento alla signora che “l’uomo è cacciatore, è la natura”. Ho liberato unicorni legati a boe che non li meritavano, ho sedotto e abbandonato figli di uomini che “si è sempre fatto così”, ho rapito quotidiani troppo brutti per essere letti, ho abbracciato un attonito signore indiano che a furia di “cose belle, solo guardare” rischiava il linciaggio, anche solo di sguardi. Ho rincorso un ambulante ma solo per restituirgli un giocattolo che gli era caduto e il suo sguardo ha colmato tutto l’abisso dei porti chiusi.
Non è mai troppo tardi per fare la linguaccia a un avvocato che confonde la condiscendenza con la gentilezza, per rispondere con un calembour irrispettoso a un maschio alfa in cerca di pubblico, per alzare il vessillo del “non gioco più” nel disperato tragico mondo dei social dal vivo.
Forse si può, forse la quadratura del cerchio c’è. Forse possiamo resistere e combattere senza discutere. Con un po’ di dispetti, niente di grave. Forse anche solo pensarlo aiuta a smaltire la rabbia e, quindi, confrontarci in modo più efficace. Non ho sedotto o maltrattato nessuno, non ho rubato niente, forse un po’ di sabbia sopravvento, sì.
Forse proprio di sabbia abbiamo bisogno nei prossimi mesi. Sabbia da far scivolare in ingranaggi fin troppo oliati, anche grazie alla nostra complicità: l’indignazione amplifica il messaggio e lo fa arrivare a persone che altrimenti potrebbero ignorarlo. Sabbia per irritare, sabbia per accecare, sabbia anche per costruire, perché al di là dei sondaggi quotidiani che danno un paese che non ci piace al 110%, abbiamo un obiettivo per cui lavorare e cioè evitare che le elezioni europee rafforzino un governo reazionario (e non aggiungo altro, perché per me questa parola racchiude tutto quello che non voglio).
Come dice Giulia Blasi, non dobbiamo recuperare il senno dei dissennati ma la speranza degli impotenti. Insabbiamo i dissennati, costruiamo le fondamenta per chi si sente impotente. Con un sorriso, un calembour, un silenzio, un atto di generosità: con l’azione, che può voler dire una conversazione, una trasformazione, una donazione.
Quando a quelli come noi "prudono le mani"…facciamo una donazione. #youhatewedonate pic.twitter.com/LjN6qhv4K1
— Donata Columbro 🧮 (@donatacolumbro) 19 luglio 2018
Una delle critiche più odiose ricevute in questi mesi è stata che le donne vittime di abusi si presentano come vittime della situazione. Come deboli, fragili, bisognose di aiuto. È esattamente il contrario: abbiamo iniziato a parlare perché siamo forti, per una volta in condizione di fregarcene se disturbiamo, interrompiamo, infastidiamo. Siamo come la sabbia, ci infiliamo dappertutto e te la ritrovi nei posti più inattesi. La resistenza è dispettosa, perché rompe le uova nel paniere: non siamo simpatici, non siamo perfetti, non siamo dipendenti. Non parliamo più di te, parliamo di noi: fatti in là e stai zitto per una buona volta.