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Pronto Soccorso AI

Il videocorso con me e Alberto Puliafito

Come applicare il metodo senza-con (e altre storie)

Simona Castellani ha fatto il corso di Storytelling a Vicenza e parteciperà anche al corso che è il completamento naturale, Social Content. Visto che Simona ha fatto un lavoro per me molto interessante di rielaborazione delle mie slide le ho chiesto il permesso di pubblicare le risposte, che possono essere utili per chi ha già fatto il mio corso (ormai tante persone, grazie grazie grazie) o per chi vuole annusare un po’ i contenuti prima.

  1. Il SENZA è il problema o il bisogno?
    Il SENZA è la sintesi del conflitto vissuto dal protagonista, quindi è il problema che deve affrontare, non il bisogno che vuole soddisfare. Più il problema è vicino al prodotto, meno possibilità abbiamo di generare la quantità di contenuti necessari, per questo io suggerisco sempre di trovare un problema reale e sentito, ma il più astratto possibile. Per fare un esempio: il SENZA di un integratore pensato per gli sportivi può essere l’idratazione/i sali minerali, ma quindi in genere l’acqua, la freschezza, il recupero delle energie. La domanda a cui rispondere è “Che problema può avere una persona che usa integratori?”.
  2. Una volta individuate e comprese le nostre buyer personas (con il loro problema, bisogno, desiderio, paura), costruiamo a ritroso i SENZA e i CON  e le diverse PERIPEZIE nel mezzo?
    Prima di tutto una precisazione: quelle costruite con il mio metodo non sono “buyer personas”, ma sono personas nel senso proprio (cioè personaggi), per questo ci concentriamo più sugli aspetti psicologici che sui comportamenti. Quello che consiglio a chi non ha un’offerta complessa, con tante linee di prodotto, è di creare almeno quattro personas e poi trovare il “problema, bisogno, desiderio, paura” che li accomuna. È un lavoro di sintesi utile anche per capire se c’è coerenza e armonia tra i vari personaggi: una storia ci permette di combinare caratteri e motivazioni molto diversi, ma per creare la FABULA, cioè la storia principale a cui partecipano tutti, è bene lavorare sul SENZA e su CON che hanno in comune. Ognuno di loro, invece, vivrà peripezie diverse, a seconda dei loro percorsi d’acquisto.
  3. I “senza”, le “peripezie” e i “con” me li posso anche far raccontare dai mie clienti, se li guido e li accompagno in questo percorso, corretto? Voglio dire, la storia la costruisco sulla base delle storie che le nostre personas ci raccontano, corretto?
    Sì e no: sicuramente puoi cercare e devi farti raccontare il loro vissuto, ma non in modo meccanico, usando lo schema con loro. Puoi intervistarli, anche per iscritto, ma organizzando le domande in modo che emergano anche le risposte meno immediate, quelle che magari in un primo momento uno ritiene inadatte.
  1. Avendo studiato le fasi del customer journey proposte dall’inbound marketing intese come fasi di avanzamento dalla presa di coscienza di un SENZA (awareness) all’acquisto del prodotto/servizio (conversion), mi trovo un po’ disorientata, a tratti, nel ripensare il customer journey declinato per lo storytelling. Nel caso dell’inbound marketing, ad ogni fase corrisponde (si addice) un certo tipo di formato (content offer) e un certo grado di aderenza/vicinanza/collegamento al prodotto; cioè, più la personas è consapevole (e convinta) che un certo prodotto/servizio può essere la sua SOLUZIONE, più apertamente si può parlare del prodotto stesso. Come funziona invece nel caso dello storytelling?
    È esattamente la stessa cosa, puoi tranquillamente sovrapporre i due processi, lo scrivi anche tu: il SENZA è la fase della scoperta (Awareness), le Peripezie la frase della valutazione (Consideration), il CON la fase dell’acquisto + il postvendita. Più ti avvicini all’acquisto più puoi parlare del prodotto, è l’esperienza d’acquisto che deve fare parte della storia che hai ideato. Il carrello, le mail transazionali, il negozio, il packaging, i messaggi di errore: anche queste parti devono tenere conto della storia (sempre con mano leggera).
  2. Come collego il prodotto/servizio dell’azienda alle varie storie delle nostre personas? Ci possono essere diversi gradi di contaminazione tra la sfera  del cliente con i suoi conflitti e le sue aspirazioni e la sfera del prodotto/servizio con la sua capacità di risolvere il conflitto, corretto?  Voglio dire, posso sia costruire una storia mirata a raccontare come un mio prodotto ha risolto un problema di un mio cliente, sia  costruire una storia mirata a raccontare come un mio cliente (o potenziale cliente) ha risolto un suo problema attraverso una soluzione che è solo indirettamente riconducibile al mio prodotto.
    Il prodotto è l’oggetto magico che risolve il problema del cliente. È sempre presente in scena, ma non è al centro della scena. Usando il mio metodo di progettazione sei libera dall’esigenza di raccontare ogni volta una storia (è stucchevole, oltre che faticoso): l’importante è che ogni contenuto, da un post su Facebook fino alla mail di conferma di un acquisto sia auto-similare alla storia principale. Se il tuo SENZA è l’acqua, il testo deve scorrere, nell’immagine coordinata dovrebbe esserci qualcosa di blu, le immagini devono dissetare e via così.
  3. “Le storie sono congegni perfetti per dimostrarci (fin da piccoli) che i problemi possono essere risolti e che, nel farlo, si cambia senza accorgersene” In che senso “senza accorgersene”?
    Che il cambiamento avviene in seguito alle peripezie vissute per risolvere il problema. Inizi a fare sport perché te lo dice il medico e scopri che ti piace un sacco, cosa che non avresti mai neanche sospettato prima.

Vuoi le coccole al lunedì mattina?

E poi:

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